“La lingua mi sembrava terribile, un impasto di suoni indistinti, e pensavo con una punta di risentimento a mia madre che riteneva il dialetto siciliano indecifrabile. Ero passato in un attimo da un mondo in cui era tutto familiare e protettivo, a un ambiente straniero in cui mi muovevo come una sonnambula muta.”.
“Una famiglia radicale” di Eugenia Roccella (Rubbettino) è un romanzo morbido, intimo, emozionante, commovente, ironico, delicato, biografico e autobiografico, che induce alla riflessione. La Roccella compie un percorso che dal mondo laico, anticlericale e radicale si infrange nella fede, nella morte, nel coma, nella finitudine, nella malattia, nel fallimento, nella dicotomia dell’individuo con la persona e dell’autodeterminazione assolutizzante con la determinazione diretta dall’Alto.
È un cammino corporeo e immateriale, visibile e spirituale, che vede nel paesino siciliano di Riesi l’inizio e la fine, l’Hora di Carmine Abate che per l’Autrice costituisce il rifugio dell’anima, l’Eden, la sua piccola patria, luogo natio da cui non si distaccherà mai e che la farà rimanere bambina e figlia anche una volta divenuta una combattente femminista. Riesi è il luogo impalpabile dei ricordi, degli antichi affetti che conducevano a tavola tutti, nessuno escluso, anche anziani e malati. La cucina era il cuore pulsante delle esistenze e rendeva irremovibile ed intramontabile il passato. Della cucina si sentono gli odori di pietanze perse nel tempo, si ode il crepitio del fuoco, giunge il profumo acre del fumo del fuoco attaccato agli abiti di Peppina ed il pungente sentore di cipolla promanante dalle sue mani.
“Tutto quello che di Riesi mia madre detestava, io lo amavo. Sguazzavo nel mare di amicizie, parentele e vicinato come un pesce felice: era la mia acqua, priva di insidie e pericoli. In paese non c’era quella netta separazione tra vita degli adulti e dei bambini che con sorpresa avrei poi sperimentato poi a Roma. La comunità familiare e amicale, includeva tutti, anche anziani e disabili, e ogni anomalia e stranezza individuale era assorbita.”.
Pagine intense sul padre Franco, uno dei fondatori del Partito Radicale, sulla di lui moglie e madre di Eugenia, Wanda, sulle dinamiche familiari fra i genitori e fra questi ed i figli, tra i fratelli e fra i nonni, gli zii ed i loro nipoti.
L’epistolario i cui protagonisti sono Marco Pannella e Franco Roccella scatena brividi lungo la schiena per la profondità del pensiero e la asperità del linguaggio.
La mano di Dio che non si era voluto percepire, nonostante fosse stata sempre presente, viene poi avvertita ed il senso della esistenza umana e della sua fine assume un significato diverso.
“Perché racconto tutto questo, rischiando di sminuire l’immenso fascino umano e intellettuale di Franco, l’intensità del suo mondo interiore, e di sovrapporgli una figura vagamente caricaturale? Perché ‘agli uomini capita di attraversare la vita, di occupare posti importanti e di morire senza arrivare mai a sbarazzarsi del bambino rannicchiato nell’ombra’. A lui è accaduto.”.
Fabrizio Giulimondi https://giulimondi.blogspot.com/