IL MALE ASSOLUTO sullo SCHERMO: recensione di *Maurizio Guaitoli Il libro Male Assoluto non si presta, come ogni testo enciclopedico che si rispetti, a nessuna sintesi. Così, si è obbligati dall’immensa mole di riferimenti a molte decine di titoli da cineteca di lusso, e relativi commenti, a fare come un Astronauta che orbiti a centinaia di km dal Pianeta Terra, descrivendo solo i fenomeni atmosferici macroscopici, gli unici apprezzabili da quelle altezze.

Quello che la Storia ha individuato come Male Assoluto nella mostruosità distruttrice dell’Umana Creatura da parte del potere hitleriano e della sua ideologia di sterminio degli ebrei, e dei diversi in  genere, non è altro, stando al libro di Mele, che un episodio tra tanti. Perché ogni continente ed epoca, in base alla vasta documentazione dell’Autore, ha storie terribili di stermini, genocidi e olocausti da raccontare attraverso le sue filmografie, viaggiando a ritroso nei decenni e nei secoli. E, per quanto paradossale esso sia, si può perfino costruire un numero impressionante di neologismi del consumismo cinematografico moderno, che hanno alla loro radice il termine “nazi”: nazizombie; naziexploitation; nazislamismo.

Persino sorridere dell’humor nero, del tipo “Il pisello di Hitler è l’unico disoccupato di Germania”. Mele cavalca la storia dei film sul nazismo e su quello più generale del Male Assoluto sparso sulla Terra, surfeggiando sulle cime di spuma di onde narrativo-documentali sempre caotiche, mai ferme e tanto meno consequenziali.

Anche se un blocco omogeneo lo si può individuare nell’analisi meticolosa dell’opera e della storiografia cinematografica di Pier Paolo Pasolini. Mele agisce come un ragioniere qualunque, contabilizzando nel suo voluminoso libro mastro i deliri, le false verità, le ricostruzioni storiche meticolose, il diritto e rovescio dei contenuti nazisti. Facendo vedere come le varie epoche e vagues cinematografiche giochino ora a nascondere; ora a recuperare frammenti di verità; ora a dimenticare nei cassetti centinaia di ore di filmati sconvolgenti girati da documentaristi in divisa, inglesi russi e americani.

Nascondere, sminuire, perché il pubblico di oggi e degli anni del benessere non capirebbe, non avrebbe capito. Nel Secondo Dopoguerra si diceva: “La Germania ci serve”, quindi non si può dire né far vedere proprio tutto. Visto che decine di milioni di tedeschi allora viventi avevano non solo colluso, ma servito fedelmente il regime anche nelle sue più depravate e violente espressioni. Ecco: ancora la Germania fa storia.

Come nei film di propaganda nazista della regista Riefenstahl, la cui tecnica ha ispirato la filmografia bellica di Frank Capra. Del resto, non è forse vero che i tedeschi passano con la massima disinvoltura dalla conoscenza scientifica universale, quale la scoperta del principio di indeterminazione di Heisenberg e le equazioni della relatività generale di Einstein, al suo opposto della massima espressione ideologica del dominio di potenza? Un enorme bruco d’acciaio teutonico, quest’ultimo, che scava tunnel di odio attraverso la Storia e i continenti, e che oggi vede come erede diretta la Russia di Putin, avvolta nelle sue contraddizioni antinaziste.

Troppo complesso il volume di Mele da sezionare, perfino da digerire per piccole parti. Allora, meglio di ogni altra cosa citarne letteralmente un brevissimo stralcio da pag. 42, in cui si analizza il documentario francese di Lanzmann, che raccolse per il film anche la deposizione dell’Unterscharfuehrer SS Suchomel (umile sarto nella vita civile!), in servizio a Treblinka, il quale non sapeva di essere filmato:

*** D/R

D – Signor Suchomel, non parliamo di lei, ma soltanto di Treblinka. Perché la sua testimonianza è fondamentale, e lei può spiegare che cos’era Treblinka. Ma non citi il mio nome.

R – No, no, ho promesso. […] Quale capacità avevano le nuove camere a gas [costruite nel settembre 1942]?

D – Le nuove camere a gas… vediamo… Si potevano far fuori tremila persone in due ore.

R – Ma quante persone alla volta, in una sola camera a gas?

D – Non posso dirglielo esattamente, io. Gli ebrei dicono duecento. Duecento? Sì, duecento. Immagini un locale della misura di questo. Ad Auschwitz ne mettevano di più! Ma Auschwitz era una vera fabbrica!

R – E Treblinka?

D – Le darò la mia definizione. Ricordi questo: Treblinka era una catena di morte, primitiva, certo, ma che funzionava bene.

R – Una catena?…

D – di morte. Capisce?

R – Sì. Ma primitiva?

D – Primitiva. Sì, primitiva, ma funzionava bene, quella catena di morte.

R – E Belzec era più primitivo?

D – Belzec era il laboratorio. È Wirth che comandava il campo. E laggiù Wirth ha fatto tutti gli esperimenti immaginabili. All’inizio le cose andavano male. Le fosse erano troppo piene, la cloaca sgocciolava davanti al refettorio delle SS. C’era puzza… Davanti al refettorio… Davanti al loro baraccamento…

R – Lei è stato a Belzec?

D – No. Wirth con i suoi uomini… con Franz, con Oberhauser e Hackenhold, ha sperimentato tutto laggiù. Quei tre dovevano mettere personalmente i cadaveri nella fossa, affinché Wirth sapesse di quanto spazio aveva bisogno. Quando loro non volevano farlo – Franz si rifiutava e Wirth prendeva Franz a frustate, e anche Hackenhold, sa?

R – Kurt Franz?

D – Kurt Franz. Così era Wirth. E, forte di quell’esperienza, è arrivato a Treblinka. Treblinka era un villaggio. Un piccolo villaggio. La stazione aveva acquistato importanza a causa dei trasporti di ebrei. Ogni convoglio aveva da trenta a cinquanta vagoni. Li dividevano sempre in sezioni di dieci, dodici, perfino quindici vagoni, che erano portati fino al campo e condotti alla rampa. Gli altri vagoni restavano in attesa, con le persone, nella stazione di Treblinka. I finestrini erano protetti da filo spinato perché nessuno potesse uscire. E sui tetti stavano i cani sanguinari, gli ucraini o i lettoni. I lettoni erano i peggiori. Sulla rampa, di fronte ad ogni vagone, si tenevano pronti due ebrei del reparto blu perché tutto procedesse alla svelta. Dicevano: Uscite, uscite, presto, presto! C’erano anche degli ucraini e dei tedeschi.

R – Quanti tedeschi?

D – Da tre a cinque.

R – Non di più?

D – No, gliel’assicuro.

R – E quanti ucraini?

D – Dieci. Dieci ucraini, cinque tedeschi. Sì, sì. Due… Cioè venti uomini del reparto blu. Sì. quelli del reparto blu erano qui, e da qui mandavano le persone all’interno. Là c’era il reparto rosso. Sì.

R – Il reparto rosso, qual era il suo incarico?

D – I vestiti. Doveva raccogliere i vestiti degli uomini, i vestiti delle donne, e portarli immediatamente quassù.

R – Quanto tempo fra la rampa e l’operazione di denudamento? Quanti minuti?

D – Vediamo… per le donne, per le donne diciamo un’ora in tutto. Un’ora, un’ora e mezza. Un intero treno in due ore. Sì. In due ore era tutto finito… Fra l’arrivo… e la morte…

R – E la morte, era tutto finito in due ore?

D – Due ore, due ore e mezza, tre ore.

R – Un treno intero?

D – treno intero .

R – E per una parte soltanto, per dieci vagoni?

D – Non si può calcolare: i vari trasporti si susseguivano, la gente affluiva continuamente, capisce? Gli uomini che aspettavano seduti là e là, erano subito mandati lassù attraverso il budello. Le donne ci andavano per ultime… Alla fine. Dovevano salire anche loro, e sovente aspettavano qui. Sempre cinque per volta, ecco cinque. Cinquanta persone, sessanta donne con i bambini, che dovevano aspettare che qui ci fosse posto. Nudi? Nudi. Estate e inverno. D’inverno può fare molto freddo a Treblinka.

R – Appunto, d’inverno, in dicembre, comunque dopo Natale…

D – Sì. Ma già prima di Natale faceva… un freddo cane! C’erano fra i –10° e i –20°. Lo so perché all’inizio morivamo di freddo anche noi. Non avevamo uniformi adatte. Anche per noi faceva freddo. Ma ancora di più per i disgraziati…nel budello……nel budello, faceva molto, molto freddo. Molto freddo.

R – E può descrivere con molta esattezza quel budello? Com’era? Quanti metri? E la gente in quel budello?

D – Il budello aveva circa quattro metri di larghezza. Come questa stanza.

Era delimitato da steccati alti così, o diciamo così.

R – Dei muri?

D – No, no. Del filo spinato, con un intreccio molto fitto di rami d’albero, rami di pino, capisce? È ciò che si chiamava mimetizzazione. C’era un reparto mimetizzazione di venti ebrei che ogni giorno andava a raccogliere rami. Nei boschi? Sì, nei boschi. E tutto era coperto. Tutto, tutto. Non vedevamo fuori, né a destra né a sinistra. Assolutamente niente. Non si poteva vedere attraverso. Impossibile? Impossibile. La stessa cosa qui, qui, qui e qui… e qui… impossibile vedere attraverso.

R – Treblinka, dove tanta gente è stata sterminata, non era grande, vero?

D – Non era grande. Cinquecento metri nel suo lato più esteso. Non era un rettangolo, piuttosto un rombo. Provi a figurarselo: qui era piatto e là si cominciava a salire. E in cima alla collina si trovava la camera a gas. Bisognava salire. Il budello era chiamato la Strada del Cielo, no? Gli ebrei l’avevano soprannominato l’Ascensione, e anche l’Ultima strada. Ho sentito soltanto queste due espressioni.»

Anche se, come riporta Mele, “Chi dice che non sapeva nulla delle camere a gas mente, perché l’odore dolciastro si sentiva a chilometri di distanza”!

    *** Lettrice, Maria Teresa Pasqualitti 

*Maurizio Guaitoli/Architetto, fisico, matematico, analista informatico, giornalista pubblicista e autore di articoli e saggi sulla politica interna ed internazionale, cultura ed arte. Specilizzazione presso l’Ecole Nationale d’Administration di Parigi.                                                                                                                                          Pubblicazioni: La Prefettura tra presente e futuro, ed Maggioli 2001; Per una Terza via tra capitalismo e collettivismo, ed. Pioda, 2017; eBook – Le stelle in-quiete, libro I e II; Oltre il Capitale, 2015 –

Il Libro è disponibile su https://www.amazon.it/Male-Assoluto-sullo-schermo-Olocausto/dp/B0BRLZWYYW

Presentazione a cura di Rete Liberale in collaborazione con Leoni D’Italia

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